La Chimica Del Caffè

La Chimica Del Caffè

Il caffè è sicuramente una delle bevande pù diffuse al mondo. Per molte culture rappresenta un vero e proprio rito, e rappresenta  una tradizione per molte popolazioni.

E’  anche una importante fonte di reddito per molte nazioni, con i Paesi del Sud e Centro America che sono i maggiori produttori.

La “leggenda” vuole che le proprietà eccitanti di questa pianta furono scoperte n Etiopia, per poi essere diffusa in tutto il mondo Arabo. Dal 1600 i mercanti europei iniziarono ad importarlo anche in Europa, e via via in tutte le colonie. In tal modo giunse anche in Sud America dove vide una ampia diffusione.

Ma come si ottiene il caffè?

Le principali specie da cui si ottengono i preziosi semi sono la Coffea arabica e la Coffea robusta. Queste appartengono alla grande famiglia delle Rubiaceae che comprende oltre 6000 specie!

L’altezza della pianta varia dai 5m dell’arabica ai 10m del robusta. Dopo la fioritura, sulla pianta maturano dei frutti che contengono due semi avvolti in una “pellicola”. Una volta raccolti, i frutti vengono privati della polpa con metodo a secco o a umido. Il primo è caratteristico delle zone soleggiate e calde, dove i frutti vengono lasciati essiccare e poi, tramite separazione meccanica vengono privati della polpa. Nel metodo ad umido, invece, tale separazione avviene in acqua corrente e tramite una serie di lavaggi. Quest’ultimo metodo permette di valorizzare maggiormente l’aroma del caffè.

La torrefazione è una fase della lavorazione del caffè che molti di voi avranno sentito nominare. Durante tale processo, i semi vengono tostati per essere poi pronti per la preparazione della bevanda.

Questa fase di lavorazione avviene ad alte temperature, oltre i 200°C, e determina numerosi cambiamenti nella quantità e qualità dei composti chimici contenuti nel chicco e che determinano le proprietà e l’aroma.

Il chicco, a temperature elevate, perde l’acqua per evaporazione e viene sottoposto alla reazione di Maillard che è responsabile dell’imbrunimento ed è molto importante per conferire l’aroma (è la stessa reazione che imbrunisce il vostro filetto di carne).

A secondo della bevanda che si vuole preparare, il processo di torrefazione può variare: può variare la temperature, la durata ,e tutto ciò conferisce caratteristiche aromatiche particolari.

Una volta torrefatto, il caffè deve essere consumato in tempi piuttosto brevi, circa 3-4 mesi al massimo. Il caffè torrefatto è, infatti, molto sensibile all’ossidazione, una reazione chimica che avviene spontaneamente in presenza di ossigeno e degrada alcuni composti alterando l’aroma.

I valori nutrizionali

Durante la torrefazione le proteine, i carboidrati e le fibre vengono degradati e sono dunque scarsamente presenti nella bevanda. I lipidi, invece, sono più stabili.

La famosa caffeina

L’1,3,7-trimetilzantina è il nome ufficiale della caffeina. Si tratta di un alcaloide purinico che conferisce il caratteristico aroma amaro al caffè. Nell’arabica è presente dal 1 al 2.5% del peso secco, mentre nella robusta può arrivare fino al 4%. La modalità di preparazione della bevande influisce molto sul contenuto di caffeina: 50mg/35ml per l’espresso, 120mg/50ml per quello ottenuto dalla moka. Nel caffè americano la concentrazione è più bassa ma viene consumato in dosi maggiori.

La caffeina possiede noti effetti stimolanti a livello mentale, essendo in grado di migliorare vigilanza e attenzione.

Purtroppo, come molti si saranno accorti, il nostro organismo va incontro ad assuefazione a seguito di un consumo abituale di caffè, e gli effetti tendono così a svanire. Per provare nuovamente questi effetti vi consiglio di non bere più caffè per almeno 1 mese per poi riprendere con un consumo moderato.

L’effetto stimolante è dovuto alla sua azione antagonista dell’adenosina. Questa molecola viene impiegata come  modulatore della risposta dei neuroni (“le cellule del nostro cervello”) ai neurotrasmettitori (i messaggeri che usano le nostre cellule per comunicare). In particolare, l’adenosina ha effetti inibitori, e dunque, quando la caffeina entra in gioco ne impedisce l’azione, limitando in tal modo gli effetti inibitori. L’effetto stimolatorio è dunque indiretto.

La caffeina viene assorbita facilmente a livello gastrointestinale, e il picco nel sangue viene raggiunto in 20-60 minuti. Una volta in circolo, viene metabolizzata dal fegato, ed in particolare modo dal complesso enzimatico del citocromo P450. Variazioni genetiche di questo, ed altri enzimi determinano la differente velocità di metabolismo di questa sostanza (e quindi di degradazione), e quindi anche la diversa entità di effetti che diverse persone possono riferire quando bevono un caffè.

Inoltre, la caffeina interferisce con altri neurotrasmettitori: ad esempio, eleva la serotonina (il famoso neurotrasmettitore del buon umore), aumenta il livelli circolanti di adrenalina e noradrenalina ecc. Un effetto interessante è la promozione dell’azione della dopamina, un neurotrasmettitore coinvolto nella patogenesi della Malattia di Parkinson. La caffeina sarebbe infatti in grado di svolgere un’azione protettiva nei confronti di questa malattia neurodegenerativa .

La caffeina non ci tiene solo svegli

Questo alcaloide non ha effetti solo sul sistema nervoso centrale. Infatti, nello stomaco può favorire lo svuotamento del suo contenuto inducendo così il riflesso gastrocolico che spiegherebbe il blando effetto lassativo riferito da alcuni consumatori di caffè.

Il consumo regolare di due tazze di caffè è correlato ad una riduzione del rischio per il diabete di tipo II. Si tratta di studi osservazionali, non ancora quindi così “forti” e convincenti, ma  che forniscono indicazioni interessanti. L’effetto sembrerebbe mediato principalmente dall’acido clorogenico, una molecola che con un effetto ipoglicemizzante (abbassa cioè la glicemia).

Sicuramente avrete sentito o letto di magici integratori a base di caffeina che aiutano a “bruciare i grassi”. Effettivamente, la caffeina mostra un debole effetto d’incremento della lipolisi e dell’attività metabolica, ma è un effetto transitorio e verso il quale si osserva una progressiva assuefazione. Non affogatevi quindi nel caffè per dimagrire!

Il caffè non ridurrebbe solo il rischio di diabete, ma sembra proteggerci anche a livello epatico. Contiene, infatti, molecole con attività anti-ossidante che ridurrebbero il rischio di cirrosi e altre patologie epatiche.

E non è finita. Sono stati pubblicati alcuni studi che dimostrerebbero un effetto protettivo nei confronti di alcuni forme tumorali: oltre al tumore epatico, si rileva una riduzione del rischio per tumori dell’esofago, del colon-retto e della prostata.

Ho sempre usato il condizionale, concedendo il beneficio del dubbio perché gli studi in questione, sebbene ben condotti, non sono in grado di essere conclusivi in quanto comunque influenzati da possibili effetti confondenti (abitudini dietetiche, stili di vita ecc.).

Infine, altri effetti apprezzabili sono riscontrati nell’attività sportiva. Ma per questa trattazione, vi rimando a questo mio articolo: link.

Ci sono anche effetti collaterali?

Sicuramente alcuni lettori, magari cardiopatici o ipertesi, avranno ricevuto specifiche raccomandazioni per limitare il consumo di questa bevanda.

Effettivamente c’è molta confusione sull’effetto del consumo di caffè e il rischio per patologie cardiovascolari. Alcuni studi mostrano un aumento, seppur limitato, del rischio per malattie cardiache. Questo effetto sembrerebbe essere  causato dalla modesta azione ipertensiva (aumento della pressione arteriosa) che può indurre il caffè. Tuttavia, altri studi, anche recenti affermano il contrario.

Ad esempio, uno studio pubblicato sulla rivista Heart da un gruppo di ricercatori coreani, ha evidenziato che un moderato consumo di caffè si associa a una minore incidenza di arteriosclerosi alla arterie coronariche, garantendo in tal modo una maggiore salute al cuore e riducendo il rischio di malattie come l’infarto cardiaco e l’ictus cerebrale. Questa ricerca ha coinvolto 25 mila persone, uno studio quindi che gode di una certa solidità. In particolare, l’indagine ha consentito di osservare che un consumo medio di 3-5 tazze giornaliere sono sufficienti a garantire questo effetto sulle coronarie. Una metanalisi pubblicato sull’European Journal of Epidemiology ha concluso che il consumo di adeguate quantità di caffè riduce il rischio di mortalità per tutte le cause, d’insorgenza di alcuni tumori (in particolare modo fegato e colon-retto), di sviluppo di malattie cardiovascolari.

Una recente metanalisi realizzata da un gruppo di ricerca italiano ha invece evidenziato che il consumo quotidiano di caffè in soggetti sani non aumenterebbe il rischio di sviluppare l’ipertensione. Ho scritto, a riguardo, un articolo che potete leggere qui: link.

Tuttavia, a scopo cautelativo, visto la complessità e l’incertezza  di questi dati, il consumo andrebbe limitato nei pazienti con aritmie cardiache.  Un consumo eccessivo  può determinare, in acuto, ipertensione (aumento della pressione arteriosa) e palpitazioni.

Una sottopopolazione che dovrebbe sicuramente prestare attenzione al consumo di caffè sono le donne in gravidanza. I risultati degli studi sono contrastanti, tuttavia le più autorevoli società scientifiche  suggeriscono che durante la gravidanza sia opportuno limitare la dose di caffeina assunta a 100mg/die (poco più di un espresso al giorno). Questa riduzione, oltre a scongiurare il rischio di aborto spontaneo (sul quale permangono dubbi), è consigliata per evitare una riduzione della crescita intrauterina del feto con un conseguente ridotto peso alla nascita.

La stessa indicazione è valida per le neo mamme durante l’allattamento. L’elevato consumo di caffeina può, infatti, determinare irritabilità e difficoltà nel sonno per il neonato.

Il consumo di caffè, a causa della presenza di composti fenolici, può ridurre l’assorbimento del ferro non-me (quello presente nei vegetali), e dunque, in soggetti con anemia sideropenica (carenza di ferro), andrebbe assunto lontano dai pasti principali.

Il caffè, come già detto, facilità lo svuotamento gastrico, ma questo non è l’unico effetto sull’apparato gastrointestinale. A livello dello stomaco, infatti, stimola la secrezione di succhi gastrici e andrebbe dunque evitato nei pazienti che riferiscono reflusso gastroesofageo, gastrite e ulcera gastrica.

Caffè e farmaci

Il caffè, come descritto sopra, viene metabolizzato (degradato) a livello epatico grazie all’azione del citocromo P450. Questo complesso enzimatico è responsabile anche del metabolismo, e della conseguente eliminazione, dei farmaci e di altre sostanze tossiche. Siccome il caffè e questi farmaci condividono la via metabolica, il consumo concomitante può aumentare o diminuire l’effetto del farmaco. Ad esempio, il consumo di caffè potenzia l’affetto di farmaci come l’aspirina o il paracetamolo (Tachipirina).

Infine, il caffè limita l’assorbimento di levotiroxina (Eutirox), un farmaco usato per trattare l’ipotiroidismo, per cui i pazienti in terapia con questo farmaco devono attendere almeno 30-40 minuti dopo aver assunto la compressa prima di bere il proprio caffè.

Quindi quanto caffè posso bere?

La dose tossica per l’uomo è di circa 20-40mg/kg peso corporeo. Ciò significa circa 30 tazzine di espresso per un uomo di 70 kg bevute tutte insieme.

L’EFSA, l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare, suggerisce un consumo massimo di 400mg di caffeina al giorno (5 espressi).

Fonti:

Choi Y, et al. Coffee consumption and coronary artery calcium in young and middle-aged asymptomatic adults. Heart. 2015

https://www.cochrane.org/CD006965/PREG_effects-of-restricted-caffeine-intake-by-mother-on-fetal-neonatal-and-pregnancy-outcomes

Butt MS, Sultan MT. Coffee and its consumption: benefits and risks. Crit Rev Food Sci Nutr. 2011

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